sabato 2 agosto 2014

La vetta non si conquista

La montagna nel passato non era considerata come attualmente, spesso era stata assegnata a qualche divinità che non andava disturbata. E' solo di recente che la montagna è diventata un terreno praticabile per la specie umana. Quando tutte le terre erano state in qualche modo mappate, circoscritte, ci si avvia verso la montagna, l'ultimo paragrafo della geografia. E' un noto cartografo che diede il nome all'Everest, un geodeta inglese, che misurò da lontano la vetta e la giudicò la più alta. L'alpinismo ha reso la montagna un luogo da poter scavalcare, attraversare, le ha rese intime alla specie umana.
A differenza di un'isola in cui si può abitare, sulla cima di una montagna bisogna stare poco, è un luogo inospitale, ogni alpinista sa che c'è una linea oltre alla quale è pericoloso stare, è la zona della morte, dai sette-ottomila metri in su. L'alpinista può essere indifferente alla vetta, quanti arrivano all'ultima cengia e si fermano? Spesso si può semplicemente decidere di superare la difficoltà e di fermarsi.
Non mi piace parlare di "conquista" quando si parla di montagna. Non c'è nessuna possibilità di misurare la nostra forza con l'immensità schiacciante delle forze di natura, siamo in inferiorità fisica. Quello che può succedere in una bella giornata, in cui le condizioni della montagna concedono un lasciapassare provvisorio, lo possiamo considerare al massimo un "pareggiare" non certo di "conquistare" la montagna, che rimanda invece ad un abuso di confidenza con l'immenso (Erri De Luca)

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