martedì 8 luglio 2014

Michel Darbellay

ll mondo aveva appena saputo che «l’orco aveva respinto il mostro». L’Orco è l’Eiger, la sua parete Nord, una delle più lunghe e difficili di tutto l’arco alpino, un simbolo del coraggio alpinistico. E il «mostro» era Walter Bonatti. Nel 1963 uno dei più granmdi alpinisti di sempre era all’apice della sua carriera di scalatore. Era il «re» del Monte Bianco e da solo aveva affrontato con successo il Petit Dru, un pilastro di granito verticale che faceva parte delle vie impossibili. In quell’agosto del 1963 una piccola frana si staccò appena sopra il poderoso piede della Nord dell’Eiger e un sasso ferì Bonatti. La rinuncia fece il giro del pianeta. 

Qualche giorno dopo, in modo molto meno appariscente, un’altra notizia si diffuse: un uomo da solo era riuscito a scalare quella parete, la guida alpina svizzera Michel Darbellay. Arrampicò a fatica (la parete era ancora in parte ghiacciata e innevata) cercando di tenere fede alla linea aperta nel 1938 dalla cordata austro-tedesca di Heckmair. Bivaccò a qualche centinaio di metri dalla cima che poco al di sotto dei quattromila (3.974) e poi sbucò nel sole del mattino. Quando rientrò disse: «È una grande montagna… sono morto di stanchezza». E si addormentò. Una resa vittoriosa. 

Michel Darbellay è morto a 79 anni lo scorso giugno. Era di Orsières, il paesone ai piedi della lunga salita verso il valico del Gran San Bernardo. Il suo rifugio era una baita a La Fouly. Uomo sereno, di poche parole, umile, lontano dalle celebrazioni. Non commercializzò mai la sua fama. Una vita dedicata alla montagna, da pastorello di mandrie nella Val Ferret svizzera fino alle grandi imprese come quella Nord sfuggita a Bonatti. Quel giorno di agosto del 1963 uscì di casa inseguito da una mamma ansiosa che gli chiedeva dove andasse: «Tranquilla vado alla raccolta delle albicocche». 

L’attrezzatura era già in auto e il suo obiettivo era la Nord dell’Eiger. Sapeva che da solo sarebbe stata una grande avventura e soprattutto sapeva che aveva già superato pareti più difficili dal punto di vista delle difficoltà tecniche. Ma la lunghezza, soprattutto gli imprevisti, quali i coni d’ombra con il velo di ghiaccio e la caduta di pietre, erano e rimangono i problemi del paretone dell’Orco.

da "La Stampa" del 02/07/2014 - E. Martinet

Anderl Heckmair e Michele Darbellay



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